Abitiamo a Finale Emilia, a poche decine di metri dalla torre dell’orologio, la torre
spezzata, il simbolo del terremoto del 20 maggio e che ora non c’è più e siamo soci del
Camper Club Italiano.
Prima di tutto vorremmo ringraziare gli amici, soci del club e non, che da tutta Italia ci hanno manifestato la loro solidarietà. E’ stata una grande consolazione sentire la vicinanza di tutti, anche solo attraverso il telefono.
Tutto sommato la nostra famiglia è stata fortunata. Siamo stati sfollati per circa due mesi perché residenti nella zona rossa inaccessibile a tutti.
Solo a luglio abbiamo avuto conferma che la nostra casa, se pur ferita, era agibile.
Comunque, da camperisti da vecchia data, abbiamo potuto trovare riparo nel nostro camper , che sentiamo come un rifugio, con le nostre cose, le piccole cose, di cui percepisci l’importanza solo quando le perdi.
Chi è entrato in tendopoli non aveva nulla se non ciò che portava addosso quando è fuggito dalle case che scuotevano paurosamente e pericolosamente all’alba del 20 maggio. Bene lo sanno gli amici dell’Aquila e, solo ora, dopo averlo provato, riusciamo a capire veramente cosa è stato anche per loro.
VIVERE in camper non è esattamente come andarci in vacanza. E’ diverso l’approccio, sono diversi i sentimenti, non è svago, è quotidianità.L’abitudine però ti aiuta, sai che serve RIGORE: per gestire le riserve d’acqua ed energia; per gestire lo spazio perché, oltre a jeans e magliette, hai nell’armadio le camicie e gli abiti per andare al lavoro (abiti strappati all’armadio di casa in raid frettolosi e pericolosi, accompagnati dai vigili del fuoco).
Il 20 maggio le riserve d’acqua minerale e di caffè dei camperisti finalesi hanno ristorato i vicini rifugiati nelle auto.
Con grande solidarietà c’è chi ha fatto collegare i cavi elettrici dei camper alle prese di corrente di casa propria (lasciando aperte le porte a persone sconosciute)
Con il perdurare delle scosse, ad oggi oltre 2000, tante famiglie hanno pensato al camper a noleggio come soluzione all’emergenza così, vicino ai giardini pubblici, nelle vie larghe dei quartieri nuovi, ci siamo trovati in tanti in una “area di sosta” improvvisata.
Queste persone, probabilmente, non diventeranno camperisti , perché collegheranno il camper a un momento doloroso che non si può certo definire “abitar viaggiando”.
Poi all’inizio l’inesperienza ha annullato in poche ore la normale autonomia di qualche giorno dei veicoli.
Così, dalla sera alla mattina, i nostri nuovi vicini camperisti obbligati si sono trovati con serbatoio dell’acqua vuoto, serbatoi di recupero traboccanti e batterie a zero.
Qualche consiglio e un po’ di buona volontà hanno risolto il problema, ma la vita in camper da loro è stata sentita come un’ulteriore grande limitazione.
C’è comunque chi, poi, un camper l’ha acquistato e fra questi uno dei nostri vicini della zona rossa con cui stiamo pianificando un’uscita nel prossimo autunno.
Un lato positivo c’è: il terremoto ha unito le persone, oggi ci conosciamo meglio, siamo tutti accomunati a questo terribile evento che ha distrutto le scuole, tutti i monumenti , l’ospedale, molte case e fabbriche.
Non abbiamo più municipio, chiese e campanili, torri, castelli e palazzi storici.
I capannoni industriali sono crollati e qui è stato pagato il prezzo più alto con la perdita di numerose vite umane, straziando irreparabilmente tante famiglie.
I soccorsi sono stati efficienti, la mobilitazione di tutte le forze dell’ordine, protezione civile e vigili del fuoco è stata immediata e tutt’ora ci assistono. I vigili del fuoco con coraggio sono entrati con noi nelle nostre case, ci hanno consolato e ci hanno aiutato a prendere beni di prima necessità. Si sono calati come funamboli dall’alto delle gru, sospesi ai bozzelli, per mettere in sicurezza i monumenti che si potevano salvare.
Li abbiamo visti sollevare, come nel gioco degli shangai, le travi del tetto di un campanile e portarle una per una a terra.
Hanno spostato le pietre del moncone pericolante della torre dell’orologio e hanno trovato e salvato la campana.
Sì SALVATO la campana, perché noi dal 20 maggio non sentiamo più suonare le campane e, come ha ben descritto il giornalista Giovanni Morandi nell’articolo del 21 maggio sul Resto del Carlino (*), oggi ne siamo sicuri, abbiamo bisogno anche di sentire suonare le nostre campane.
Raccontando e raccontandoci la nostra esperienza ci siamo confrontati, consolati e confortati a vicenda.
(*) <<……Bisogna fare in modo che riprenda al più presto il lavoro in quelle aziende fermate dal sisma, e poi bisogna progettare e realizzare subito la ricostruzione….. Tutto deve essere come prima. E cominciamo a ricostruire partendo dalle cose inutili ma fondamentali. Chiamate i muratori e i maestri campanari. Fate ricostruire i campanili subito. Abbiamo bisogno di sentire suonare le campane>>
Le foto di una giovane e brava fotografa finalese, Carolina Paltrinieri, narrano la nostra storia recente con struggenti scatti in bianco e nero che si possono vedere su internet. OCCHI SU FINALE <<CAROLINA PALTRINIERI e IMMAGINI RELATIVE A CAROLINA PALTRINIERI
Fra le immagini proposte due scatti mi emozionano maggiormente:
quello dove noi finalesi storditi, sconcertati , stupiti, increduli, a due a due, abbigliati evidentemente con le prime cose che ci sono capitate, chi in ciabatte, chi con stivali, ci aggiriamo nel viale fra la torre e il castello pochi minuti dopo la grande scossa delle 4.03;
e quello dove un pompiere pulisce con delicatezza, come se l’accarezzasse, la campana estratta dalle macerie della torre dell’orologio. Quelle mani, sporche per il lavoro, raccontano la fatica, ma anche la soddisfazione e l’emozione per il ritrovamento.
Perdere fabbriche, scuole, ospedali e tutti i monumenti è cancellare l’identità di un paese e della sua gente.
La nostra comunità , così provata, ma più coesa, farà il possibile e l’impossibile per risollevarsi e ricostruire.
Ci servirà aiuto e nel sito del comune sono elencati i progetti di ricostruzione e i nomi dei già numerosi finanziatori.
I riflettori dello spettacolo si spegneranno e abbiamo paura che ci si dimentichi di Finale Emilia.
Oggi, però, dormire nel silenzio desolante della zona rossa semideserta è sopportabile, e da qui vorremmo ripartire.
Grazie ancora a tutti
Cristina Bartolotta
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